giovedì 17 ottobre 2013

La raccolta delle olive in Umbria

É iniziata la raccolta delle olive nelle chiuse che separano la valle umbra dalla dorsale appenninica. Sembra che il primo vento autunnale abbia rubato a mastro Giorgio il segreto degli smalti perlacei dell'azzurro del cielo, del vede delle colline e del grigio degli ulivi spazzolati dal vento, ora accesi e ora smorzati dal passaggio della nuvolaglia. I rituali sono sempre gli stessi.
"La fatica conosce pochi aggiornamenti, quando si tratta di raccogliere"

pontifica un vecchio caposcala di Spello, al comando della squadra che da anni opera in quel mare di ulivi che scende da Collepino fino alla Chiona. Non è vero. L'industria del settore ha fatto molti progressi. Non solo teli sempre più grandi, ma anche ombrelli intercettatori per la raccolta meccanizzata, defogliatori, abbacchiatori elettrici per la raccolta dei frutti pendenti. Un discorso a parte merita l'indocile moraiolo, refrattario all'abbacchiatura meccanizzata.

Chi frequenta gli uliveti di questa regione, (da quello secolare di San Felice di Giano a quelli di Arrone, dalle Coste di Trevi agli scomodi terrazzamenti che avvolgono le balze scoscese di Pale, dalle colline di Campello alla petrosa Scandolaro) sa che a distanza di anni nulla è cambiato nei metodi di raccolta. A decorrere dagli anni Ottanta (quando ancora imperversavano i batteria fiscoli), per ottenere un ottimo prodotto fu necessario cambiare, i sistemi di molitura. Là sì che l'industria fu determinante. Come decisiva fu l'azienda Rapanelli di Foligno, con la sua Sinolea, apprezzata in tutto il Mediterraneo, perché in grado di estrarre olio extravergine sfruttando la differenza di tensione superficiale fra olio e acqua e, quindi, offrendo la possibilità di estrazione selettiva.
All'anziano caposcala di Spello dolgono le ossa, ma non difetta la memoria. Sa meglio di chiunque altro che la fatica accumulata non ha portato i frutti sperati, se non una vita salutare spesa in compagnia di persone perbene, dedite a questa onesta pratica agronomica. Oggi si molisce in giornata. La sera, al termine della raccolta, le olive non sono più ammassate, ma immediatamente sottoposte al processo estrattivo. Dopo di che l'olio - armonioso come un'ottava dell' Ariosto - cala alla maniera dello smeraldo fuso sulla fetta di bruschetta.

Questo è l'unico processo culturale possibile, ascetico, salutare e identitario, che giova allo spirito e al corpo. Dalla scienza olearia apprendiamo che sono i polifenoli a svolgere un'azione protettiva sulle nostre cellule, contrastando l'effetto negativo dei radicali liberi. Non è solo questo. Sono la fatica e l'amore ripagati dei raccoglitori. Forte dei potatori, la bellezza del nostro paesaggio, il sogno millenario dei contadini, a produrre un effetto salvifico, armonioso per le cellule, liberatorio per la mente. Il primato dell'olio umbro ha a che vedere con il paesaggio.

Osservate i raccoglitori mentre rientrano con le loro scale sulle spalle dopo una giornata di faticosa brucatura. Li illumina l'ultima luce che veste di porpora Assisi e Spello. Le vecchie pietre del Subasio ardono di porpora, le finestre scintillano fulgendo come ostensori al dardeggiare del sole che cala dietro le colline di Bettona. I tetti a proscenio si protendono verso il giorno che muore. Tutto questo ha a che fare con il brand Umbria.

Eppure il nostro olio porta in sì un baco colossale. Non ce lo nascondiamo. La Somma costituisce l'"hic sunt leones" dell'extravergine. I raffinatori, i grandi oleifici, mostrano una perversa vocazione cosmopolita per i polifenoli greci, tunisini, spagnoli e nella migliore delle ipotesi, pugliesi. “ se ne frega da dove viene l'olio? “ se ne frega se non è armonioso come un'ottava dell'Ariosto? se ne frega se viene spacciato per € 0.90 al litro per poi essere rimesso sul mercato a prezzi concorrenziali? L'importante è scriverci su "olio umbro".

Tanto il ruolo poeticamente antiossidante nell'immaginario del consumatore lo svolge il brand. Il resto lo fa la comunicazione nei confronti del mercato abboccone, propinandoci storielle suggestive, fornendoci parametri qualitativi ogni anno migliori, valori medi di acidità da urlo rilevati nei campioni analizzati, che vattelappesca se provengono dall'Uovo di Piccione di Bengasi o dal Moraiolo dell'eroico caposcala.
Tanto un campione per le analisi si rimedia sempre. Con quello che avanza ci si fa la bruschetta a casa. Beata umbritudine, umbra beatitudine.

giovanni.picutà@alice.àt 
Corriere dell'Umbria Giovedì 17 Ottobre 2013

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